Dipartimento di Farmacia e Scienze della Salute e della Nutrizione - Tesi di Dottorato
Permanent URI for this collectionhttp://localhost:4000/handle/10955/33
Questa collezione raccoglie le Tesi di Dottorato afferenti al Dipartimento di Farmacia e Scienze della Salute e della Nutrizione dell'Università della Calabria.
Browse
16 results
Search Results
Item Effetti dell'olio essenziale di Bergamotto (Citrus bergamia Risso et poiteau) su processo autofagico: identificazione dei meccanismi coinvolti e dei componenti responsabili(2012) Cassiano, Valentina; Sisci, Diego; Corasaniti, Maria TizianaNel presente studio, condotto in vitro, è stato valutato il coinvolgimento del processo autofagico negli effetti biologici dell’olio essenziale di bergamotto, BEO (Citrus Bergamia, Risso et Poiteau), un fitocomplesso dalle documentate proprietà farmacologiche, largamente impiegato nell’industria alimentare, farmaceutica, cosmetica e in aromaterapia (si veda: Bagetta et al., 2010). In particolare, è stata investigata l’espressione dei principali marker dell’autofagia in colture cellulari di neuroblastoma umano, SH-SY5Y, nelle quali erano stati precedentemente condotti sia gli studi di citoprotezione (Corasaniti et al., 2007) che di citotossicità (Berliocchi et al., 2011) con l’olio essenziale. Tale studio è stato esteso anche a colture di cellule ganglionari retiniche di ratto, RGC-5, e a colture di fibroblasti umani non tumorali, Hs 605.Sk. I risultati ottenuti dimostrano che il BEO, nelle linee cellulari studiate, induce un’autofagia funzionale, non abortiva, con un effetto che è concentrazione- e tempo-dipendente. Il meccanismo di tale induzione sembra essere indipendente sia da Beclin 1 che dalla via di mTOR. L’olio essenziale di bergamotto, inoltre, aumenta anche l’attività del sistema ubiquitina-proteosoma e quindi la capacità degradativa globale della cellula. L’autofagia indotta dal BEO non contribuisce alla citotossicità del fitocomplesso, ma esercita un ruolo citoprotettivo e gli effetti sulla pathway autofagica si osservano anche a concentrazioni di BEO che non producono tossicità. Grazie al presente studio sono stati identificati nel limonene e nel linalil acetato i due costituenti dell’olio essenziale principalmente responsabili della modulazione della via autofagica nelle cellule esposte al BEO. Questi composti agiscono entrambi da induttori dell’autofagia, con effetto additivo, riproducendo gli effetti del fitocomplesso. Alla luce dei dati raccolti, le prospettive future in questo ambito di ricerca sembrano essere promettenti. Sia il limonene che il linalil acetato sono due composti chimici ben caratterizzati e ritenuti sicuri per l’uomo, che potrebbero rivelarsi utili sia come tool farmacologici per lo studio del processo autofagico, sia come potenziali agenti terapeutici per il trattamento di tutte quelle condizioni patologiche (inclusi malattie neurodegenerative e cancro) in cui l’induzione dell’autofagia può risultare benefica.Item Profilo tossicologico dell’Olio Essenziale di Bergamotto (Citrus Bergamia, Risso) in vitro e caratterizzazione dei meccanismi coinvolti(2011-11-28) Ciociaro, Antonella; Corasaniti, Maria Tiziana; Bagetta, GiacintoL’utilizzo di prodotti contenenti estratti vegetali, compresi gli oli essenziali, è ampiamente diffuso nell’industria cosmetica, alimentare e farmaceutica; tuttavia, i meccanismi alla base dei loro effetti risultano spesso non caratterizzati. Nel presente lavoro di tesi sono stati indagati gli effetti dell’olio essenziale di bergamotto (Citrus bergamia, Risso) in colture di neuroblastoma umano, SH-SY5Y, di leucemia mieloide cronica, K-562, ed in cellule con fenotipo normale, in particolare, colture di fibroblasti di cute umana, Hs 605.Sk. Lo studio è stato rivolto alla caratterizzazione della citotossicità indotta dal BEO e all’identificazione dei meccanismi implicati. I risultati ottenuti dimostrano che l’olio essenziale di bergamotto (BEO) riduce la vitalità cellulare in colture SH-SY5Y e K-562 quando impiegato a concentrazioni superiori allo 0,01%. Tale effetto risulta concentrazione- e tempo-dipendente. In tali linee cellulari, a seguito del trattamento con il BEO, alcune cellule presentano un fenotipo necrotico, altre le caratteristiche dell’apoptosi. La morte cellulare non si associa ad aumentata produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS); compatibilmente con un meccanismo di morte ROS-indipendente, l’antiossidante N-acetil-cisteina non previene gli effetti sulla vitalità cellulare indotti dal BEO. In tali condizioni sperimentali, la morte cellulare è preceduta da un rapido collasso del potenziale di membrana mitocondriale ( Ψm). Nelle cellule SH-SY5Y, oltre ad un’alterazione della morfologia mitocondriale, il BEO induce una riorganizzazione delle proteine del citoscheletro, perdita dell’integrità di membrana e riduzione del volume cellulare. Il danno cellula re interessa anche il nucleo ed una percentuale significativa di cellule presenta ipodiploidia. L’esposizione delle cellule SH-SY5Y a concentrazioni citotossiche di BEO induce attivazione della caspasi 3 e clivaggio di PARP; in particolare, il pattern di quest’ultimo, non è compatibile con la sola attivazione della caspasi 3, suggerendo l’attivazione di altre famiglie di proteasi. Tuttavia, l’inibizione farmacologica delle calpaine e delle catepsine mediante pretrattamento con MDL 28170 ed E-64d, rispettivamente, non previene la morte delle cellule SH-SY5Y indotta dal BEO, mentre una parziale protezione è conferita dall’inibitore delle caspasi, Z-VAD-fmk, che riduce in maniera significativa la percentuale di cellule apoptotiche lasciando inalterata la percentuale di cellule che vanno incontro a morte per necrosi. Concentrazioni citotossiche di BEO interferiscono anche con i meccanismi di sopravvivenza cellulare come suggerito dalla riduzione della fosforilazione della chinasi Akt. Inoltre, l’aumento dell’attività proteolitica indotta dal BEO determina degradazione di Akt e riduzione dei sui livelli intracellulari. L’esposizione al BEO di colture di fibroblasti di cute umana, Hs 605.Sk, documenta un profilo tossicologico differente rispetto a quello osservato in colture SH-SY5Y e K-562. La morte cellulare, valutata dopo 24 ore di esposizione al fitocomplesso, presenta prevalentemente le caratteristiche della necrosi; inoltre, essa si osserva solo con concentrazioni superiori allo 0,02%, indicando una minore sensibilità dei fibroblasti agli effetti citotossici del BEO rispetto alle cellule tumorali. Nel complesso, i risultati ottenuti dimostrano che il BEO riduce la vitalità di cellule in proliferazione attivando diverse vie di morte. La comprensione dei meccanismi attraverso i quali i diversi costituenti del BEO interagiscono per indurre necrosi ed apoptosi potrebbe essere utilmente sfruttata in chemioterapia antitumorale dove spesso l’inefficacia dei trattamenti farmacologici è riconducibile ai difetti dell’apoptosi presenti nelle cellulari tumorali. Inoltre, considerando il diffuso impiego del BEO in aromaterapia e la carenza di studi tossicologici, i risultati ottenuti nel presente studio suggeriscono che i prodotti a base di tale olio essenziale debbano essere utilizzati con cautela e, comunque, a diluizioni appropriate, soprattutto quando impiegati mediante applicazione diretta sulla cute e per periodi prolungatiItem Caratterizzazione del ruolo svolto dal Nerve Growth Factor e dai suoi recettori nel differenziamento cellulare dei podociti umani(2013-11-28) Carito, Valentina; Bagetta, Giacinto; Caroleo, Maria CristinaIl Nerve Growth Factor (NGF) è una proteina solubile appartenente alla famiglia delle neurotrofine. Inizialmente scoperto e studiato per il suo ruolo chiave nello stimolare la crescita e il differenziamento neuronale, il NGF è oggi considerato un mediatore in grado di modulare l’attività biologica di svariate popolazioni cellulari non-neuronali. Le azioni biologiche del NGF sono mediate dal legame, sulle cellule target, a specifici recettori di membrana: il recettore ad alta affinità, TrkA, dotato di attività tirosinchinasica intrinseca e responsabile del controllo della sopravvivenza, del differenziamento e della proliferazione cellulare, e il recettore a bassa affinità, p75NTR, appartenente alla famiglia dei recettori di morte, in grado di indurre apoptosi o sopravvivenza cellulare. Diverse osservazioni sperimentali hanno documentato che il NGF e i suoi recettori sono presenti nel rene sano ed affetto da varie patologie, tuttavia è ancora poco nota l’esatta funzione che la neurotrofina riveste nel controllo dell’attività funzionale delle varie popolazioni cellulari renali. Nell'ambito della fisiopatologia renale un ruolo centrale è senz'altro svolto dai podociti, cellule dinamiche altamente specializzate, dotate di una sofisticata architettura cellulare e sub-cellulare, caratterizzate da un voluminoso corpo cellulare, lunghi processi primari e numerosi pedicelli. La funzione principale dei podociti è quella di garantire, insieme alle cellule endoteliali dei capillari glomerulari ed alla membrana glomerulare basale, la selettiva permeabilità di filtrazione della barriera glomerulare. L’integrità di tale struttura anatomica è sostenuta, oltre che dalla presenza di popolazioni cellulari specializzate anche dall’azione trofica esercitata da diversi fattori solubili di natura proteica, che agiscono sia in maniera autocrina che paracrina, tra i quali citochine e fattori di crescita. Poiché i podociti e le cellule nervose condividono diverse caratteristiche biologiche, l’espressione di molecole criticamente importanti per la loro funzione e il mantenimento della loro complessa struttura, nonché la stessa origine ontogenetica, il NGF potrebbe giocare un ruolo fondamentale nella maturazione, nei cambiamenti strutturali e quindi nella funzione delle cellule podocitarie, analogamente a quanto già descritto a livello neuronale. I risultati del presente studio hanno evidenziato, per la prima volta, come i podociti umani immaturi, in corso di differenziamento e completamente differenziati, esprimono costitutivamente il messaggero per il NGF e per i suoi recettori, TrkA e p75NTR. Tale espressione genica è associata, in tutte le condizioni sperimentali, alla produzione, in forma matura, delle proteine recettoriali TrkA e p75NTR ed alla sintesi della neurotrofina in forma biologicamente attiva. L’analisi della distribuzione recettoriale a livello cellulare, condotta mediante microscopia elettronica, ha permesso di evidenziare che l’espressione sub-cellulare di entrambi i recettori varia in funzione dello stadio di maturazione podocitaria, con evidenti differenze nella localizzazione dei recettori ad alta e a bassa affinità, tra podociti proliferanti e podociti maturi. Di notevole interesse è l'evidenza, esclusivamente nella popolazione podocitaria indifferenziata, di una localizzazione di entrambi i recettori per la neurotrofina nel compartimento mitocondriale. L’analisi, mediante studi di immunoprecipitazione, dell'associazione tra i recettori TrkA e p75 e specifiche proteine mitocondriali, quali il traslocatore per il nucleotide adenina (ANT) e la fosfodiesterasi 4 isoforma A5 (PDE4A5), nonché l'evidenza di più elevati livelli di fosfo-ERK1/2 a livello del compartimento mitocondriale dei podociti immaturi rispetto a quelli proliferanti, ha consentito di ipotizzare, per la prima volta, un possibile ruolo del NGF e dei suoi recettori nel controllo dell'omeostasi energetica e nell'induzione di specifici pathways mitocondriali coinvolti nel mantenimento dello stato proliferativo. Gli studi volti a definire il ruolo funzionale del sistema NGF/recettori per il NGF nell’ambito della popolazione cellulare podocitaria hanno inoltre documentato come la deprivazione di NGF (mediante anticorpi anti-NGF), nei podociti immaturi, non ha alcun effetto sul ciclo cellulare, sull'espressione dei recettori per la neurotrofina e sulla loro distribuzione a livello subcellulare, mentre nei podociti in corso di differenziamento, l'esposizione agli anticorpi anti-NGF induce drammatiche alterazioni della morfologia cellulare, con perdita della corretta estensione dei pedicelli e notevole alterazione nell'organizzazione del citoscheletro. Si è anche osservata una riduzione selettiva dei livelli proteici di sinaptopodina, non associata a concomitante diminuzione dei livelli di mRNA, indicando un probabile effetto post-traduzionale della neurotrofina, probabilmente dovuto ad una riduzione dell’attività di fosforilazione della PKA che renderebbe così la sinaptopodina maggiormente esposta al clivaggio da parte della Lcatepsina. E’ noto che il recettore a bassa affinità per il NGF, p75NTR, è coinvolto nel controllo del pathway cAMP/PKA mediante interazione con la PDE4A. Studi di coimmunoprecipitazione del recettore per il NGF p75NTR con la PDE4A su lisati totali di podociti differenziati, di controllo o esposti al trattamento con anticorpi anti-NGF, hanno dimostrato che, nei podociti in corso di maturazione, la deprivazione di NGF induce un aumento dell’interazione p75-PDE4A5, cui consegue una riduzione dei livelli di cAMP e dell’attività della PKA; questo determina infine una maggiore esposizione della sinaptopodina all’attacco da parte della L-catepsina. In conclusione, i risultati ottenuti in questo lavoro di tesi evidenziano che il NGF ha un ruolo chiave nella fisiopatologia del podocita e, considerando l’enorme importanza che la neurotrofina sembra avere nell’ambito del corretto differenziamento podocitario e nel mantenimento della corretta morfologia cellulare, si intravedono possibili prospettive applicative del NGF quale valido strumento terapeutico nel trattamento di patologie renali croniche associate a proteinuria, dal momento che la compromissione della funzione podocitaria ne rappresenta l’evento patogenetico precoce e determinanteItem Nuove strategie sperimentali per la comprensione e il trattamento dell’ischemia cerebrale(2011-11-28) Blasi, Francesco; Bagetta, Giacinto; Moskowitz, Michael A.; Chiarugi, AlbertoIschemic stroke is a leading cause of death and long-term disabilities worldwide. Although the pathophysiology of stroke has been studied extensively and several drugs have been proposed in preclinical trials, the pharmacological approach to stroke treatment still remains limited to thrombolysis. The development of neuroprotective strategies is crucial to preserve the integrity of the so-called neurovascular unit (the network of neurons, glial components and endothelial cells which interact regulating brain homeostasis) during and following an ischemic event, and then to increase the chances of neurological recovery. Furthermore, a relevant part of all stroke subtypes has not been studied yet, because the lack of specific animal models able to mimic their pathological features. This Ph.D. Thesis, indeed, was aimed both at study new therapeutic strategies to treat stroke pathology and at elucidate pathophysiological mechanisms not yet fully understood. In the first part of this dissertation, I propose a new drug to treat acute ischemic stroke, the 5’-adenosine monophosphate (AMP). AMP administration reduces the infarct size after 90’ of middle cerebral artery occlusion acting on the modulation of body temperature. In particular, AMP reduces the temperature in a dose-dependent manner through the stimulation of Adenosine-1 receptors in the Central Nervous System, as demonstrated using specific inhibitors. Since endogenous AMP is also able to modulate body temperature, I conclude that the stimulation of AMP signaling pathway is beneficial in an experimental model of stroke and may offer a new target to design neuroprotective drugs In the second part of my Ph.D. Thesis I show the relationship between PARP-1 inhibitors and the mechanisms of ischemic tolerance. PARP-1 inhibition have been shown to improve stroke outcome in several animal models of cerebral ischemia, but its unclear if their use affects the development of brain tolerance. To investigate this aspect, I have studied PARP-1 activity in an animal model of ischemic preconditioning and I have evaluated the extent of neuroprotection provided by the brain conditioning using both pharmacological and genetic modulation of PARP-1. My results show that PARP-1 is not involved in our model of ischemic preconditioning and its pharmacological modulation doesn’t affect the mechanisms of brain tolerance The last chapter is focused on a new animal model to study the lacunar stroke. Deep white matter and lacunar strokes accounts for more than one quarter of all ischemic strokes, but our knowledges of this stroke subtype are incomplete. I have characterized a selective model of sub-cortical white matter stroke, showing both axonal and myelin degeneration and behavioral deficits induced by a lesion strategically located to mimic human pathology. Since the development of vascular dementia, a neurological condition leading to progressive cognitive skills loss and strictly connected to lacunar strokes, is associated with blood brain barrier (BBB) disruption, I have studied the time-course of BBB opening in this animal model to clarify the relationship between white matter fiber degeneration and BBB breakdown leading to vasogenic edema. This model can help to better understand important pathophysiological mechanisms in the field of ischemic lacunar strokesItem Caratterizzazione del ruolo dell'autofagia in un modello sperimentale di glaucoma acuto(2011) Varano, Giuseppe Pasquale; Sisci, Diego; Russo, RossellaIl termine glaucoma indica un gruppo eterogeneo di neuropatie ottiche progressive caratterizzate da alterazioni del campo visivo dovute alla morte delle cellule ganglionari retiniche (Retinal Ganglion Cells, RGCs) e alla degenerazione del nervo ottico. Le strutture interessate in corso di glaucoma, retina e nervo ottico, costituiscono parte del sistema nervoso centrale (SNC), pertanto, il glaucoma è considerato, sotto ogni aspetto, una malattia neurodegenerativa. Così come per molte altre patologie neurodegenerative, l’eziologia del glaucoma è complessa e multifattoriale e la fisiopatologia cellulare e molecolare rimane poco sconosciuta. L’aumento della pressione intraoculare è considerato il principale fattore di rischio associato alla patologia, sebbene non sia la condizione necessaria e sufficiente per l'insorgenza della malattia e le cause responsabili della morte delle cellule ganglionari retiniche rimangono ancora ignote. Tuttavia, diversi sono i fattori che possono essere coinvolti per spiegare la perdita delle cellule ganglionari retiniche, fra questi: la deprivazione di fattori trofici, il danno da ischemia-riperfusione, lo stress ossidativo, la disfunzione mitocondriale e l’eccitotossicità indotta dal glutammato. Il processo autofagico rappresenta il principale sistema di degradazione lisosomiale per il turnover di organelli e di proteine a lunga emivita. Questo processo permette alla cellula di eliminare componenti tossici o danneggiati allo scopo di mantenere i livelli energetici e l’omeostasi cellulare in condizioni di stress metabolico. Un crescente numero di evidenze sperimentali suggerisce che la disfunzione o la deregolazione autofagica è associata a diverse patologie neurodegenerative di tipo cronico, come il morbo di Alzheimer, il morbo di Parkinson e la malattia di Huntington, ma anche di tipo acuto, come il danno ipossico e ischemico. Tuttavia, nonostante i numerosi studi sul ruolo dell’autofagia nelle malattie neurodegenerative, il ruolo di tale processo nella degenerazione retinica rimane ancora poco studiato. Pertanto, gli obiettivi del presente lavoro di ricerca sono stati: - verificare la modulazione del processo autofagico in un modello sperimentale di glaucoma in vivo ottenuto attraverso l’aumento transitorio della pressione intraoculare con conseguente ischemia retinica. - valutare il ruolo dell’autofagia sulla vitalità cellulare in colture di cellule ganglionari retiniche RGC-5 attraverso la manipolazione farmacologica ed il silenziamento genico di proteine tipicamente coinvolte nel processo autofagico I risultati ottenuti dimostrano che l’insulto ischemico induce una riduzione significativa dell’espressione della forma associata all’autofagosoma della proteina LC3 (LC3II) e della proteina Beclin-1, coinvolta nelle fasi iniziali del processo autofagico. Quest’ultimo evento è accompagnato dal clivaggio proteolitico della proteina Beclin-1 nella fase post-ischemica con accumulo di un frammento proteico di 50kDa. L’attivazione della cascata eccitotossica, che consegue all’eccessiva stimolazione dei recettori NMDA per il glutammato, caratterizza l’insulto ischemico retinico e la morte delle cellule ganglionari ad esso associata. Nel presente lavoro è stata studiata l’attivazione delle proteasi Ca2+-dipendenti calpaine, tipicamente associate al fenomeno eccitotossico, in seguito all’induzione dell’ischemia retinica. Il profilo temporale di attivazione di questi enzimi proteolitici mostra un andamento compatibile con un loro coinvolgimento nel clivaggio della proteina Beclin-1. Il trattamento con l’antagonista non competitivo dei recettori NMDA del glutammato, l’MK- 801 (50nM, 5μl/occhio), con gli inibitori delle calpaine MDL28170 ed SJA6017 (1mM, 3μl/occhio) ed il silenziamento genico della subunità-1 delle calpaine in vivo (CAPNS1- siRNA, 10μg/occhio), mentre riducono l’attività delle proteasi, prevengono l’accumulo del frammento di 50kDa. L’insieme dei dati conferma il coinvolgimento delle calpaine nel clivaggio di Beclin-1, che viene pertanto identificata come un nuovo substrato di queste proteasi. Infine, il ruolo protettivo o detrimentale dell’autofagia è stato valutato in colture cellulari RGC-5 in vitro. La deprivazione da siero per un periodo di 24h induce l’attivazione dell’autofagia; il trattamento con gli inibitori del processo autofagico, Bafilomicina-A1 (100nM) e 3-metil-adenina (10mM), ed il silenziamento genico della proteina Beclin-1 in vitro riducono in modo significativo la vitalità delle RGC-5 in condizioni di deprivazione da siero. In conclusione, i dati riportati in questo studio indicano una deregolazione dell’autofagia in seguito all’ischemia/riperfusione retinica associata al clivaggio, mediato dalle calpaine, della proteina Beclin-1 e supportano il ruolo neuroprotettivo di questo processo nelle cellule ganglionari retiniche. Pertanto, la regolazione del processo autofagico potrebbe rappresentare un aspetto importante nelle patologie oculari associate ad eventi ischemici e quindi un potenziale bersaglio per nuove strategie neuroprotettive.Item Cratterizzazione degli effetti neuroprotettivi della leptina in un modello sperimentale di ischemia cerebrale focale nel ratto(2011) Petrelli, Francesco; Sisci, Diego; Amantea, DianaLa leptina, oltre ad avere effetti sull’ipotalamo per il controllo del peso corporeo, è coinvolta nella regolazione della funzionalità, dello sviluppo e della sopravvivenza neuronale. Studi recenti hanno evidenziato i suoi effetti neuroprotettivi nel danno ischemico cerebrale, ma fino ad oggi il ruolo del fattore di trasduzione ed attivatore trascrizionale (STAT)-3, il principale mediatore della via di trasduzione del segnale di ObR nel cervello, non è stato chiarito. I nostri dati dimostrano che la somministrazione sistemica acuta di leptina è neuroprotettiva in ratti sottoposti ad occlusione permanente dell’arteria cerebrale media (MCAo), come documentato dalla riduzione significativa del volume di infarto cerebrale e del deficit neurologico fino a 7 giorni dopo l’induzione di ischemia. Mediante analisi di immunofluorescenza e tecniche di frazionamento subcellulare abbiamo osservato che la neuroprotezione da leptina è associata con la modulazione dei livelli di fosforilazione di STAT-3 in differenti tipi cellulari nella corteccia cerebrale ischemica. Infatti, poche ore dopo l’insulto la leptina aumenta i livelli di p-STAT3 nel nucleo degli astrociti della penombra ischemica contribuendo così agli effetti benefici di queste cellule sull’evoluzione del danno. L’aumentata espressione di homer-1a che osserviamo negli astrociti fino a 7 giorni dopo l’induzione di ischemia, sottolinea ulteriormente il loro ruolo benefico. Mediante ricostruzione 3D di immagini di microscopia elettronica, combinata con analisi morfometrica, abbiamo osservato che gli astrociti reattivi mostrano un ridotto coverage bilaterale, mentre la percentuale di contatto con le sinapsi glutammatergiche rimane invariata. Inoltre, l’aumento di p-STAT3 indotto dalla leptina nei neuroni dopo 24h di MCAo è associato con un aumento dell’espressione dell’inibitore tissutale delle metalloproteasi della matrice (TIMP)-1 nella corteccia, suggerendo un suo coinvolgimento nella neuroprotezione indotta dall’adipochinaItem Study of autophagic and epigenetic mechanisms in experimental models of inflammatory and neuropathic pain for the identification of new pharmacological targets(2013-11-28) Maiarù, Maria; Sisci, Diego; Berliocchi, LauraPain is defined by IASP as “an unpleasant sensory and emotional experience associated with actual or potential tissue damage, or described in terms of such damage” (IASP, 2011). While physiological pain is like a warning system, useful to prevent damage to the organism, pathological pain is an unpleasant sensation, permanent also after damage and it is characterized by an enhanced sensitivity to both innocuous and noxious stimuli (termed allodynia and hyperalgesia, respectively). While acute pain resolves in few days, chronic pain lasts longer than three/six months. Neuropathic pain, a common form of chronic pain, was defined as “pain caused by a lesion or disease of the somatosensory nervous system” (IASP, 2011). Pharmacological treatments available, including tricycles antidepressant and gabapentin, have limited efficacy in most of patients (Childers et al, 2007). Therefore, a better understanding of pain physiopathology and the development of new treatments are very important. Here, we characterised two new molecular mechanisms, autophagy and epigenetic mechanisms, and their role in pain processing. Autophagy is the main mechanisms involved in the degradation of proteins and organelles, in cell remodelling and survival during periods of nutrient deficiency. The decrease in the autophagic activity seems to interfere with the degradation of proteins and with the turnover of nutrients, while a greater activation of this pathway appears to facilitate the clearance of protein aggregates and to promote neuronal survival in various neurodegenerative diseases. On the other hand, too high autophagic activity can be detrimental and lead to cell death, suggesting that the regulation of autophagy has an important role in determining cell fate. However, despite numerous studies on the role of autophagy in neurodegenerative diseases, the role of this process in the pathophysiology of neuropathic pain remains poorly studied. Epigenetic mechanisms are chemical modifications of chromatin that influence gene expression without altering the DNA sequence. Although in recent years scientific research has produced significant results in the epigenetics field, only few studies have focused on the involvement of epigenetic mechanisms in relation to pain states. Experimental evidence suggests that changes in the expression of some genes are involved in the early stages of induction and maintenance of chronic pain states. Among these genes, recent evidence suggests a role for the FKBP5 gene, an important regulator of the glucocorticoid receptor, involved in the regulation system of the stress response. In addition, recent studies show that this gene is under strong epigenetic control. In view of this, the objectives of this research were: • To characterise the autophagic process at spinal cord level in different experimental models of neuropathic and inflammatory pain; • To verify the relevance of spinal autophagy for pain processing; • To identify pain conditions in which the gene FKBP5 plays a role; • To study the role of FKBP5 on pain processing at spinal cord level; • To characterize the enzymes involved in DNA methylation; The results obtained in the first experimental part of this thesis showed a modulation of the main autophagic markers in experimental models of neuropathic pain. In particular, in the model that involves the ligation of the L5 spinal nerve (SNL) and in the model that involves the transection of the tibial nerve and peroneal (SNI), it was observed an increase in the levels of the associated form of the protein LC3 (LC3II ) and of protein p62 , which is involved in the early stages of degradation of the autophagic process. The observed increase in p62 protein levels suggested a possible impairment of autophagic flux. To verify this hypothesis the consequences of a local block of autophagy at spinal level were investigated on pain behaviour. In particular, the treatment of naïve animals with chloroquine, a lisosomal inhibitor, resulted in the establishment of a state of hyperalgesia typically observed after peripheral damage of the spinal nerves. The results obtained in the second experimental part demonstrate an involvement of the gene FKBP5 in the induction and in the maintenance phases of chronic pain. In particular, knockout animals have shown a lower sensitivity to mechanical stimuli following the onset of various chronic pain states. The silencing of the gene at the spinal cord level has allowed us to understand the role of the gene FKBP5 in pain processing after an injury. Finally, the study and characterization of DNMT1, the enzyme involved in DNA methylation, has allowed us to suggest the active involvement of other proteins in the process of DNA demethylation and then in the expression of genes. In conclusion, the data reported in this study indicate an impairment of autophagy in experimental models of neuropathic pain, supporting the neuroprotective role of this process in the spinal cord. It was also demonstrated the involvement of the gene FKBP5 in the induction and in the maintenance phases of chronic pain. Altogether, these data pave the way to further investigations aimed to a better understanding of the mechanisms underling chronic pain and to the identification of potential molecular targets for the development of new therapeutic strategiesItem Caratterizzazione pre-clinica di una nuova strategia terapeutica per l'ischemia cerebrale identificata mediante drug repurposing di un antibiotico macrolide(2013-11-30) Certo, Michelangelo; Amantea, Diana; Sisci, DiegoCerebral ischemia is one of the most common causes of disability and mortality worldwide and the only pharmacological treatment currently available is thrombolysis. The understanding of the mechanisms underlying ischemic injury has led to the identification of several neuroprotective compounds aimed at the recovery of the damaged brain tissue. However, most of these drugs have produced disappointing results in clinical trials because of the high toxicity or lack of efficacy in patients. Therefore, there is a real need to develop novel therapeutic strategies that do not consider neurons as the only target. In fact, the neuronal damage is strongly influenced by the inflammatory and immune processes that develop both locally and systemically after ischemia. The inflammatory response evolves slowly, and this allows to significantly expand the time window for pharmacological intervention, highlighting the therapeutic potential of anti-inflammatory and immunomodulatory drugs. Therefore, the first objective of this work was to characterize central and peripheral inflammatory responses that occur following an ischemic insult in rodents. In particular, in order to identify potential targets, we have evaluated the temporal profile of activation of specific inflammatory cells. By immunofluorescence analysis, we observed an early activation of microglia and astrocytes in the ischemic hemisphere, as a result of transient middle cerebral artery occlusion (MCAo) in rodents. We have also detected a massive brain recruitment of neutrophils and macrophages, with a peak of infiltration 48 hours after the insult, whereas T lymphocytes have been identified only at later times. Together with evidence from microarray studies demonstrating that the majority of genes modulated acutely in the blood of stroke patients resides in neutrophils and monocytes, our findings suggest that these cells may be useful therapeutic targets. Using the repurposing approach we have selected a drug, azithromycin, that is able to modulate the functions of macrophages and neutrophils in pathological conditions other than ischemia. Pre-treatment with azithromycin (150 mg/kg, orally) produces a significant reduction of the cerebral infarct volume induced by transient or permanent MCAo in rats. This suggests a potential prophylactic use of the drug during surgical procedures associated to a high risk of ischemic tissue damage. We have also observed the neuroprotective activity of azithromycin when the drug is administered systemically after a transient ischemic insult. The reduction of the infarct volume induced by transient MCAo is dose-dependent (ED50 = 0.59 mg/kg in mice, ED50 = 1.19 mg/kg in rats) and is approximately 60% (compared to vehicle) with the most effective dose of azithromycin (150 mg/kg, i.p.). The neuroprotective doses in rodents are therefore much lower than the antibiotic ones. We have also documented that the reduction of the infarct volume and the improvement of the neurological deficit due to azithromycin post-treatment (150 mg/kg, ip) are maintained up to 7 days after the insult. Furthermore, the time window of efficacy is rather wide, since neuroprotection is observed with the drug administered up to 6 hours after the insult both in rats and in mice subjected to transient MCAo. The characterization of the neuroprotective effects of azithromycin, demonstrated by the present study in models of focal ischemia in rodents, provides the basis for the validation of the drug efficacy in patients suffering from ischemic stroke.Item Nuove strategie per la sintesi di peptidi e steroidi modificati(2007-11-16) Perri, Francesca; Loiguori, Angelo; Gabriele, BartoloItem Ruolo di iASPP nella regolazione del Mismatch repair in melanoma(2014-05-22) Senatore, Valentina; Genchi, Giuseppe; Bagetta, GiacintoCutaneous melanoma is an aggressive malignancy accounting for 4% of skin cancers but 80% of all skin-cancer related deaths. Its incidence is rapidly rising and advanced disease is notoriously treatment-resistant. The role of apoptosis in melanoma pathogenesis and chemoresistance is poorly characterized. Mutations in p53 occur infrequently and are not critical for tumour development. This may alternatively result from p53 upstream or downstream pathway defects or from alterations of p53 family co-activators, including the ASPP family members (Apoptosis Stimulating Proteins of p53). iASPP is the inhibitory member of the ASPP family. By binding p53, iASPP is believed to inhibit apoptosis in cancer, resulting in its oncogenic role. Recently it has been found highly expressed in several types of cancer, such as endometrial and hepatocellular carcinoma, acute leukemia and breast cancer. iASPP upregulation in some cases occurs with a concomitant downregulation of ASPP expression, the pro-apoptotic family member, thus providing a further option for targeting the p53 family in the treatment of cancers. So far, iASPP expression and its role in skin cancer is not yet been explored. Recently great attention has been given to DNA repair processes in melanoma, particularly to Mismatch Repair (MMR). This is a DNA damage repair mechanism, correcting bases mismatches due to replication errors or exogenous agents’ activity, whose defects have been demonstrated leading to genomic instability (microsatellite instability, MSI) frequently linked with cancer. MSI and altered expression of MMR factors such as MSH2 and MLH1 (both at mRNA and protein levels) has often been observed in primary and metastatic melanoma, compared to normal melanocytes and nevi. 8 Aim of this study is to investigate the role of iASPP in melanoma and particularly its involvement in DNA repair and apoptosis. In this work we used RT-PCR and western blot techniques to demonstrate that both MMR factors and iASPP were expressed at higher levels in several melanoma cell lines, mainly metastatic, compared to primary melanocytes extracted from human skin. We also observed a post-translational modification in the MSH2 protein (which is due at least to an ubiquitination) upon increased iASPP expression in three different melanoma cell lines, independently of p53 status. This results in an increase of DNA repair activity measured by MutS(MSH2/MSH6 complex) binding to a DNA bases mismatch. To confirm these results, we used a set of shRNAs targeting iASPP gene in metastatic melanoma cell line WM1158 and we found that the reduction of iASPP leads to a lower MSH2 protein expression, without affecting MLH1, and to a 50% reduction of MutS activity. Immunoprecipitation experiments showed that iASPP directly binds endogenous MSH2 and MLH1 in melanoma cells and this interaction was confirmed by immunostaining where iASPP partially co-localized with MMR factors in the nucleus of melanoma cells. Moreover, iASPP silencing and its consequent reduction in expression and activity of MMR factors, is able to sensitize melanoma cells to apoptosis induced by chemotherapeutic agent cisplatin. Taken together these results confirm the antiapoptotic role of iASPP and suggest a novel role of iASPP in melanoma, such as a modulator of MMR that may help in the future to explain further its oncogenic role in cancer. This study is also the first report available about iASPP expression in melanoma, highlighting the importance of investigating further this important target gene in such a chemoresistant disease. Future studies will be necessary to further elucidate the mechanism by which iASPP interferes with the MMR system and how it affects apoptosis and cell cycle progression in melanoma disease.